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100 Anni di “non solitudine”
Intervista a Oscar Niemeyer
di Jerry Bortolan
Ringraziamo Jerry Bortolan per averci concesso di pubblicare il testo integrale della sua conversazione con Oscar Niemeyer da cui è stato estratto l’articolo “100 volte Niemeyer” pubblicato sull’ Espresso. Rio de Janeiro Oscar Niemeyer è stato l’unico nella storia dell’architettura mondiale ad avere avuto la possibilità di progettare e realizzare una città, oltre alle altre 500 opere costruite in tutto il mondo. In questa intervista a tutto campo si confessa ricordando le sue battaglie contro la miseria, specialmente quella che esiste in Brasile, sua terra d’origine. Mentre salgo in ascensore penso all’uomo che sto per incontrare: 100 anni sono quasi un’eternità. Ma, sorprendentemente, l’uomo che mi viene incontro è, sì, piccolo di statura ma ancora dinamico e d’aspetto cosmopolita. I grandi occhiali da sole alla moda gli danno un’aria mondana e vacanziera. Appena seduti nel suo piccolo studio mi chiede se prima di partire con l’intervista vogliamo fumarci uno “charutto” (un sigaro), alle undici di mattina, tanto per riscaldarci…visto che la mattinata è fredda e ventosa, inusuale per il clima di Rio. Non è solo l’architettura il tema dell’incontro ma cercare – per quanto possibile – di conoscere l’uomo Niemeyer che alla soglia dei 100 anni tira le somme di una vita e, tra una nuvola di fumo lasciata dal suo sigaro, dice quasi a se stesso “sono andato troppo in fretta”. L’architettura ha tradito le aspettative della gente o si avvicina al popolo? L’architettura è ingiusta e inumana. Gli architetti lavorano per i governi e la gente ricca: i poveri non offrono contropartita. Quando noi architetti creiamo invece qualcosa di diverso, il povero almeno guarda l’edificio e ha una - seppur momentanea – sensazione di sorpresa. Non partecipa però. Per questo dico sempre che la vita è più importante dell’architettura. In Brasile e nel resto del mondo i ragazzi passano il tempo a pensare a come diventare vincenti e non al mondo che li aspetta. Il mondo deve essere cambiato, l’importante è capire che la nostra vita deve essere più sobria. Bisogna provare piacere ad aiutare gli altri e ad avere una vita più semplice: non c’è nulla di più importante.
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Il lavoro svolto dalla gente che va in strada a protestare contro il capitalismo è più importante del mio. Io lotto comunque per un mondo migliore. Ho aderito al Partito Comunista e lì ho incontrato i miei migliori compagni di lotte. Sto cercando di dare il mio contributo per un mondo più giusto, la vita dura un attimo.
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L’architettura si rivolge solo alle persone ricche e non a quelle comuni? Per questo penso che la vita sia più importante: dobbiamo comportarci in maniera diversa, essere solidari gli uni con gli altri. L’importante è mettere fine al regime capitalista: l’impero di Bush spaventa tutto il mondo. È un idiota che detiene il potere. Parliamo del suo Paese. In questi ultimi anni, il Brasile è migliorato o peggiorato? Sta migliorando. Abbiamo un presidente operaio e le sue origini lo portano a schierarsi dalla parte del popolo. C’è ottimismo, stiamo lottando. Oggi bisogna parlare di patria, l’America Latina è maltrattata e minacciata. La vita è cambiata a livello sociale perché vogliamo liberarci dal regime capitalista.
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Per lavoro, io frequento da molti anni il Brasile e ho sempre pensato che fosse il paese del futuro. Ma questo futuro non arrivava mai. Ora invece si può dire che il futuro sia arrivato? Perlomeno abbiamo una speranza, la gente avverte che in tutta l’America Latina c’è un movimento di rivolta contro il capitalismo. Prendiamo Chavez in Venezuela, ad esempio: è un guerriero che vuole lottare e cambiare lo stato di cose nel suo paese, come noi abbiamo un presidente onesto e che sta dalla parte del popolo. Bisogna migliorare il clima di competizione che il capitalismo contribuisce a generare. Una volta Lei mi ha detto che dove c’è fame non ci può essere democrazia. Pensiamo alle favelas. La gente che vi abita ha fame e ruba nelle case dei ricchi, mentre i proprietari di quelle case vedono i milioni di abitanti delle favelas come nemici. Stanno crescendo invece, ma non hanno scuole e conducono una vita molto difficile, da cambiare. Cosa pensa dell’Occidente attuale e del tentativo di Al Qaeda di destabilizzarlo? La lotta è proprio lì: la Cina che è diventata potente, gli Stati Uniti, la Russia che sta alzando nuovamente la testa e vuole imporsi come interlocutore primario del governo Bush. Torniamo ora al mondo dell’architettura e ai suoi grandi interpreti. Cosa pensa dell’opera dell’architetto spagnolo Calatrava? Non la conosco ma credo che sia molto importante, visto che gode di molto prestigio in tutto il mondo. È un’architettura ricca. Il punto è sempre lo stesso: l’architettura deve sorprendere. Le mode oggi governano in tutti gli ambiti: le abitudini alimentari, il vestire e così anche gli spazi architettonici nei quali sembra non trovare posto l’aspetto pratico di questo messaggio. Le opere di Calatrava, ad esempio, che ho visto solo dall’esterno, sembrano molto complesse, come a voler provocare la gente. Sembra quindi che il vero obiettivo sia solo apparire. Viene considerato solo l’aspetto estetico, non quello pratico. È sempre stato così sin dall’antichità, in tutte le epoche in cui l’architettura è evoluta. L’importante è che gli architetti facciano ciò che gli piace e non quello che ad altri piacerebbe che loro facessero. Secondo Lei la filosofia dell’architettura è cambiata? Certamente. Non esiste architettura antica o moderna ma solo bella o brutta. Oggi abbiamo il cemento armato che offre infinite possibilità. Quando lavoro a un progetto, parto innanzi tutto eliminando la metà dei punti d’appoggio e così l’architettura si fa più leggera, le coperture più ampie. L’obiettivo è quello di cercare un’architettura diversa, che sorprenda. La forma data all’edificio deve saper suscitare meraviglia nella gente che lo guarda.
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Non ho mai criticato un collega: rispetto tutti. Credo tuttavia che si possano elaborare forme maggiormente libere sfruttando la generosità del cemento armato, che permette qualsiasi cosa. L’architettura antica ad esempio non offre cupole più alte di 40 metri: non era tecnicamente possibile superare quell’altezza. La cupola di Brasilia che ho realizzato io è alta 80 metri. Ognuno fa quello che gli consentono i tempi.
A quale sua opera è più affezionato? Forse all’Università di Costantine in Algeria e all’edificio Mondadori a Milano. Credo che quando ci si trova davanti a quest’ultimo si abbia la sensazione di osservare qualcosa di speciale. E tra le due quale Le piace di più? Quello della Mondadori.
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Il progetto del palazzo Mondadori, 1969 (Da sinistra: l'ingegnere Giorgio Calanca, l'architetto Luciano Pozzo, Giorgio Mondadori e Oscar Niemeyer osservano il plastico del primo progetto della sede Mondadori, 1969 – Foto Archivio Mondadori) |
Mondadori era una brava persona, molto simpatica. L’ho visto per la prima volta a casa sua: abbiamo pranzato e poi ci siamo messi a giocare a calcio. O meglio: lui giocava, mentre io davo calci alla palla. Era un gran lottatore e una persona semplice. Mi è piaciuto molto.
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In Italia mi è capitata anche un’avventura: mi trovavo a Roma e dovevo recarmi in Algeria. Sono andato alla stazione dei treni e mi sono messo ad aspettare ma quando il treno è arrivato, mi sono accorto che era pieno di italiani che parlavano a voce alta e gesticolavano. Allora ho deciso di prendere una macchina. Ho impiegato due giorni a raggiungere l’Algeria. Non avevo scelta e così ho preso un’automobile ma invece dei pochi giorni previsti sono rimasto in Algeria due mesi. Quando sono tornato all’ufficio noleggio auto di Parigi per riconsegnare la macchina, mi hanno detto che ne avevano denunciato la scomparsa. Il giorno dopo sono tornato lì per prendere una cosa che avevo dimenticato in macchina e mi hanno spiegato che – non avendo io avvertito che l’avrei tenuta due mesi – avevano pensato che fosse stata rubata. Quando infine sono tornato a Roma si è sparsa la voce del mio apparente furto: avevo detto una settimana e mi ero tenuto la macchina per due mesi.
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