Pagina 1 di 2 Chandigarh
Colmando la distanza tra concetto e contesto
Luca Montuori
Ogni rappresentazione è un gioco sulle distanze. E sulla misura. E sulla dismisura naturalmente (1).
La distanza. È la prima cosa che colpisce. Affacciarsi dal grande portico del Parlamento e vedere in lontananza il palazzo dell’Alta Corte significa prendere coscienza di uno spazio più volte immaginato ma mai misurato. Impossibile farlo, se non percorrendolo fisicamente. In questo grande spazio esistono distanze diverse, fisiche e mentali, religiose e culturali. Le più immediate sono le distanze tra gli edifici, poi subito guardi la distanza dalle montagne che da lontano con la loro maestosità ricordano la sacralità della natura, infine ricordi, al momento di andare via, la distanza dalla città che di questo luogo è il corpo vivente e terreno.
Dopo averla osservata da lontano però la distanza nel percorso si trasforma. Il suolo si articola e si prende coscienza della misura delle cose, elementi che si pensavano secondari rivelano dimensioni in precedenza non immaginate. La collina artificiale assomiglia a una montagna e al tramonto, nella fossa della considerazione si può giocare a cricket. Lungo la salita sulla rampa del monumento dei martiri l’intorno sparisce gradualmente fino a lasciare il visitatore solo con il cielo. Secondo molte interpretazioni il Capitol nasce e si sviluppa come progetto autonomo rispetto al piano generale della città. Le Corbusier avrebbe lasciato ad altri la progettazione delle zone residenziali per potersi concentrare unicamente sul progetto della zona più importante della città, isolandosi dal contatto con le altre architetture e lasciando agli altri membri del gruppo il compito di occuparsi delle abitazioni e della città. Sarebbe però errato voler leggere questa affermazione come una rinuncia. Certamente lo studio approfondito delle lettere e dei carnet (alcuni dei quali ancora non completamente “esplorati”) fornirà ulteriori risposte. Ma già se si guarda a quanto realizzato, ai disegni noti e ad alcuni disegni e schizzi meno noti esposti nel museo della città di Chandigarh si possono avanzare alcune letture meno radicali.
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Il coro
È possibile guardare al paesaggio e al ruolo che questo ha all’interno del piano, come all’elemento che definisce la struttura la città? L’elemento a partire dal quale la città si sviluppa dalla scala della strada, del rapporto tra gli edifici e i vuoti, a quella della geografia? Nelle critiche al piano di Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Jane Drew e Maxwell Fry il paesaggio è stato spesso considerato come abbellimento delle strade della città o come sfondo visivo nel Capitol, natura irraggiungibile e sacra da osservare a distanza. Uno sdoppiamento che rinforzava l’idea del Capitol come luogo isolato in cui Le Corbusier aveva potuto coronare il suo sogno isolandosi, appunto, dalla città. Viceversa, proprio guardando al ruolo fondativo del paesaggio, il Capitol diventa il luogo simbolico e concettuale in cui si coniuga la frattura tra il tempo eterno e tempo terreno e finito. Una costruzione simbolica in cui la natura, con tutte le implicazioni e le fascinazioni possibili (materiali, immateriali, misteriche, religiose e anche di più) viene a contatto con lo spazio dell’artificio, con la città e le sue istituzioni, i suoi simboli. Al di là del reale contatto fisico e visivo tra le parti il Capitol è il luogo in cui questo sistema di rapporti diviene forma, la chiave di lettura che permette al mito di essere interpretato e entrare a far parte della vita dell’uomo. Concetto e astrazione si confrontano con il contesto e con il luogo contaminandosi: "il contrasto essenziale della tragedia, il suo conflitto irrimediabile è situato nella sfasatura, che viene poi trasformata in sincronia, fra il presente di un'azione scenica attuale, e il passato irreversibile del mito" (2). Questa interpretazione deriva da alcune considerazioni che riguardano principalmente: - Lo studio dell'evoluzione del piano dai primi schemi di Albert Mayer al piano di Le Corbusier che, rispetto al primo, modifica radicalmente proprio il ruolo del sistema dei vuoti nella strutturazione dello spazio urbano. - L’attenzione all'importanza attribuita da Le Corbusier al Plan d'Arborisation con la scelta di affiancare al lavoro di pianificazione e progettazione un comitato che curasse specificamente le questioni relative alla piantumazione delle alberature. - Una lettura del significato del suolo del Capitol e delle sue articolazioni come frammenti di una narrazione che rende la natura parte della città attraverso una metamorfosi che coinvolge un complesso apparato simbolico.
Il piano
“Chandigarh sera la villed’arbres, de fleurs et d’eau, de maisons aussi simples que celles du temps d’Homere et de quelques splendides édifices du plus haut modernism où régnera la regle mathématique” (3).
Il Piano proposto da Le Corbusier prevede un allontanamento radicale dai principi che avevano generato il piano di Albert Mayer, basato su un’idea di garden city derivata dalle esperienze anglosassoni (4). Mayer pensava a un insieme di unità di vicinato in grado di combinarsi in blocchi autosufficienti che avrebbero dovuto avere la dimensione dei villaggi tradizionali indiani. Queste unità combinate prendevano il nome di Superblock. I Superblock erano circondati da un sistema di strade con andamento curvilineo derivato da pure esigenze pittoresche di visuale variata, avevano ciascuno la sua area verde al centro e all'intorno residenze e servizi. Le zone verdi non dovevano costituire un vero e proprio sistema accentuando nella composizione complessiva l’idea di isolamento implicita nel concetto di Superblock. Nel disegno finale del piano, si può osservare come la combinazione di diverse unità di vicinato suggerisca una struttura di corridoi verdi che si sviluppa da nord-ovest a sud-est, ortogonalmente al sistema dei fiumi stagionali presenti sul luogo. I disegni di Mayer riguardano poi soprattutto l’organizzazione interna del Superblock con la distribuzione planimetrica di dettaglio al suo interno e una ricerca attenta ai caratteri architettonici degli edifici, portata avanti soprattutto dall’architetto Matthew Nowicky, che aveva elaborato una grande quantità di disegni per dimostrare la varietà, tipologica e di linguaggi, possibile all’interno dei Superblock. Il contrario per Le Corbusier. La trasformazione del Superblock in Sector da disporre su una maglia ortogonale di strade non corrisponde a un banale irrigidimento del piano precedente. "Non credo che ci sia bisogno di demolire il mito che il piano di Le Corbusier fosse rigido. Le Corbusier non voleva che fosse così. Era un progettista di sistemi. Lavorava sull’idea di interazione, iniziativa e scelta degli abitanti, su un controllo alla grande scala e sulla libertà alla piccola scala. Quando si pensa a questo viene in mente Jai Singh, il fondatore di Jaipur. Il piano di Le Corbusier elaborava una struttura flessibile" (5). Se è vero che i compiti di Le Corbusier riguardarono la stesura del piano generale e il progetto del Capitol, bisognerà quindi individuare quali sono gli elementi invarianti intorno a cui il piano costruisce per comprendere cosa vuol dire Doshi quando lo descrive come una struttura flessibile. Un primo dato riguarda il ruolo del sistema di parchi lineari, fasce che attraversano longitudinalmente i settori e che lasciano destinati a verde più di 800 ettari di territorio su una superficie complessiva di 114 kmq di area urbanizzata. Il sistema si sviluppa parallelamente alla valle scavata dal fiume stagionale SukhnaChoe, la leisure valley, intorno alla quale il piano lascia una fascia inedificabile larga circa 300 metri. Qui si trovano giardini tematici, aree dedicate a piante ornamentali particolari o alberi fioriti, fontane, aree attrezzate per spettacoli o sport. La leisure valley svolge il "compito essenziale che spetta alle condizioni di natura" (6), è il luogo del tempo libero degli abitanti, della cura del corpo e della mente.
Fin dal primo disegno ufficiale della città, datato 18 aprile 1951, Le Corbusier dà molta importanza a due elementi: i parchi lineari, appunto, e le strade commerciali di quartiere (che nel sistema delle V7 hanno il nome di V4). La città è rappresentata attraverso l'infrastruttura che ne definisce lo spazio. V7, le fasce verdi, e V4 di fatto costruiscono un sistema di vuoti, tra loro ortogonali. Le V7 sono orientate da nord-est a sud verso l’Himalaya e definiscono il ruolo del paesaggio all’interno del corpo urbano. Le V4 sono descritte da Le Corbusier nello Statute of the Land come le strade caratterizzanti dei Settori, ognuna con alberature specifiche per forma e colore (vedi il disegno) per fornire agli abitanti elementi che permettessero di rendere gli spazi classificabili. Mentre il sistema delle V7 si chiude all’interno della maglia urbana ricollegandosi concettualmente e visivamente al paesaggio circostante grazie all’orientamento generale della griglia, la fascia della leisure valley si ricollega al complesso del Capitol. In un disegno datato 28 novembre 1952, Le Corbusier sembra voler rendere il senso di questa relazione tra scala geografica del territorio, Capitol e città. Le forre e i dislivelli della valle si trasformano nell'articolazione del suolo artificiale del Capitol e poi entrano nella griglia urbana e divengono parco. In questo modo il paesaggio unisce il Capitol alla città trasformandosi alle diverse scale da quella cosmica al parco urbano, fino al boulevard alberato e alla piazza.
La progressiva trasformazione della natura in oggetto estetico, il tentativo di catturare l’infinito nel finito mondo del giardino, è uno dei paradigmi del paesaggio moderno in Europa da cui derivano modalità innovative di approccio allo spazio urbano. Il giardino di villa Lante a Bagnaia si presta bene quale analogia con il Capitol per spiegare l’idea di questa “artialisation” (7). A villa Lante l’asse vuoto, che nasce nella distanza tra i due casini, diviene teatro per la narrazione lineare del ciclo dell’acqua dalla sorgente al mare, accompagnata da una altrettanto graduale metamorfosi di tipo e forma di alberature. In questo percorso l’acqua dal "diluvio" della cascata arriva allo specchio d’acqua della fontana quadrata, trasformandosi in fontane e giochi d’acqua. Lungo lo stesso asse, e con la stessa gradualità, il bosco informale di lecci si trasforma in giardino all’italiana, attraverso diversi gradi di commistione tra le parti e diversi livelli di evidenza dell’artificialità del giardino stesso. Ciò che rende possibile questa metamorfosi e questa narrazione è la distanza tra i due edifici, i casini collocati ai lati dell’asse narrativo come architetture assenti che lasciano la scena al paesaggio. In Maniera di pensare l’urbanistica lo stesso Le Corbusier descrive il senso di questa metamorfosi nello spazio urbano: "Mediante l’urbanistica e l’architettura, l’ambiente e il paesaggio possono entrare nella città o, della città costituire un elemento figurativo e spirituale determinante" (8). Attraverso l'uso del paesaggio Le Corbusier ammette l’impossibilità del controllo totale sugli edifici della città nel corso del tempo. Non si dedica quindi alla realizzazione dei tessuti urbani e delle abitazioni (9), si dedica piuttosto alla definizione di una strategia che individui un insieme di relazioni-tipo tra pieni e vuoti. La differenza introdotta da Le Corbusier, che anticipa molti dei temi del progetto contemporaneo, è contenuta in questa idea di paesaggio come infrastruttura: la qualità dello spazio della città non scaturisce dal progetto delle sue architetture, ma dalla definizione delle caratteristiche dei vuoti che divengono la griglia significante della città coniugando la scala geografica con quella urbana.
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Plan d’Arborisation
Questa attenzione al paesaggio è testimoniata dalla cura con cui Le Corbusier in prima persona approntò le tavole per il Plan d’Arborisation della città, in cui sono indicate indicare le caratteristiche formali e cromatiche delle diverse piantumazioni che corrispondono a diversi tipi di spazi da realizzare: parchi, strade, percorsi, piazze. In una lettera a Jane Drew che preannuncia la redazione del Plan, Le Corbusier specifica che le sue indicazioni sono di natura puramente architettonica "dal momento che non sono né arboricoltore, né giardiniere e soprattutto non sono indiano e per questo voglio assolutamente intervenire nella scelta delle specie arboree" (10). Le Corbusier voleva offrire agli abitanti elementi per identificare le strade attraverso la composizione dei diversi tipi di alberi, una sorta di sistema di orientamento da cui potesse derivare una varietà dei settori. Le strade, i luoghi rappresentativi (il settore 17, l’università, i musei) e i parchi veri e propri vennero suddivisi in base al tipo di relazione che avrebbe dovuto legare vuoto e costruito. Il risultato è un abaco di tipi di spazi e relazioni tra strade ed edifici che ancora oggi fornisce le indicazioni necessarie per la scelta degli alberi, in base all’orientamento al soleggiamento delle strade, per la densità, per l’altezza, per il colore. Il Plan d’Arborisation fu sviluppato, in diverse riunioni, tra il 1953 e il 1954 all’interno di uno specifico organismo fortemente voluto ancora da Le Corbusier: il landscape advisory committee, diretto da M. S. Randhawa, un importante botanico indiano che poi diresse i lavori dedicando un'attenzione maniacale al rispetto delle scelte effettuate (11). Inoltre sempre in quegli anni furono elaborati gli strumenti specifici per il controllo e la salvaguardia del paesaggio tra cui il Tree Preservation Act, che proibiva il taglio degli alberi all’interno della città e grazie al quale ancora oggi si possono calcolare più di 100 diverse essenze il cui uso e la cui posizione all'interno della città è codificato. Molte piante e alberature nei tanti parchi e nelle strade della città risalgono alle scelte operate da Randhawa e Le Corbusier. Tra le essenze censite ancora oggi la gulmohar (Delonix regia), la amaltas (Cassia fistula) e la cassia rosa (Cassia Javanica) vere e proprie piante ornamentali, il kachnar (Bauhinea variegata), o grandi alberi come la quercia argentata (Grevillea robusta) che raggiunge i 30 metri di altezza, il kusum (Schleichera trijuga) e il pilkhan (Ficus infectoria) che sono utilizzati per dare ombra alle strade.
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