Pagina 1 di 3 Ipotesi progettuali
L'evoluzione nel tempo del Giardino dei Cedrati
Manuele Bondì, Oretta Lisi
Lo studio sulle origini e successive trasformazioni del giardino è stato avviato, sulla base della ricca bibliografia (1), presso l'Archivio Doria Pamphilj ed è stato condotto attraverso la consultazione dei documenti ed elaborazioni grafiche ad opera degli artisti e agronomi che si sono succeduti nella cura e gestione della Villa dal XVII sec. in poi: Alessandro Algardi, Giovanni Battista Falda e Simone Felice Delino, fino a Francesco Bettini, figura di primo piano nella conduzione del giardino, perché più degli altri raccoglie in sé tutte le competenze necessarie ad un bravo curatore. L'obbiettivo primario del Bettini fu di arrivare alla realizzazione di un giardino "il più ameno, non meno che utile, e che potrà divenire una vera scuola di botanica, agricultura, coltivassione e giardinaggio" (da Benocci 1996, pag. 28). Egli si pone in una posizione critica davanti ai giardini che in Italia vengono progettati da architetti, i quali tendono a trattare gli spazi esterni come un proseguimento di quelli interni, realizzando " ...una magnificienza in fabriche, statue, fontane di marmo, parterre cincinati a guisa di ricamo, vialli lunghissimi chiusi da due muri di verdura dove l'ochio non può trapassare, insoma tutto v'è fuor che natura, e da ciò ne deriva che li proprietari di questi sitti preferiscono andare a passeggiare in un bosco, in una vigna, perchè il suo giardino li rende noja..." (da Benocci 1988, pag. 29-30). In contrapposizione a ciò, il Bettini cerca di imitare i caratteri presenti nel paesaggio naturale, attingendo al giardino cinese, e proponendo un giardino paesaggistico fatto di specchi d'acqua, isole, avvallamenti, alture, etc. Menziona le teorie di Jean Jacques Rousseau, il quale approva il "genio inglese" che aveva preso come modello per i giardini moderni "l'amabile natura". Egli dimostra grande sensibilità artistica, ma soprattutto un'eccezionale capacità di sintesi tra conoscenze agronomiche e botaniche e la necessità di ricercare nuove forme di gestione per ottenere un giardino esteticamente gradevole, ma fondamentalmente auto-sostenibile. La trattatistica sui giardini di agrumi tra il XVI e il XVII secolo già anticipa in qualche modo questa tendenza di trasformazione del giardino del piacere in giardino produttivo, che si esplicita più apertamente alla fine del XVIII secolo. Dal primo trattato sugli agrumi dell'inizio del XVI sec. ad opera del siciliano Antonio Venuto, ogni trattato riguardante i giardini parla degli agrumi come piante ornamentali, che non perdono le foglie e che esibiscono frutti e fiori profumati e quindi altamente decorativi. In genere si parla di piante coltivate in vaso di terra cotta, che già di per sé viene considerato un prezioso elemento decorativo e che ben si sposa con l'eleganza dell'albero di agrumi. Nel giardino pensile di Francesco de' Medici a Firenze si alternavano "vasi di limoni, aranci, cedri, melangoli, gelsomini, mortelle, alberetti da frutto, piante da fiore ed erbe aromatiche"(2). In ogni giardino, degno di questo nome, la pianta di agrumi è presente, come è testimoniato in tutti i piccoli giardini privati presenti in una città come Roma, il cui clima ne consente la coltivazione. Un'altra disposizione molto frequente delle piante di agrumi nei giardini è la sistemazione in piena terra a ridosso di mura a formare una spalliera che, oltre ad ottenere un notevole effetto estetico, utilizza il vantaggio offerto dal rilascio del calore assorbito dalla pietra o dal mattone esposto a mezzogiorno. Alle origini, secondo il progetto - illustrato nei disegni del Falda e del Delino (1653-59) - l'impianto degli agrumi in questa area seguiva uno schema lineare, suddiviso in più filari, senza avere la fisionomia di un giardino, ma piuttosto di parterre. Nella planimetria di Giovanni Battista Falda, sono già presenti le due fontane del Tevere e della Venere e viene definito come giardino dei melangoli (Fig. 19). Nella planimetria prospettica di Simone Felice Delino - XVII sec. -una cinta muraria lo definisce giardino e lo separa dal casale destinato alle stalle e dalle altre aree funzionali alle coltivazioni (Fig. 20).
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Fig. 19 - Planimetria di rilievo di G.B. Falda, 1670; Particolare dell’area nella quale è ora presente il Giardino dei Cedrati. (da C. Benocci, 1988) |
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Fig. 20 - Planimetria di S. Felice Delino - sec. XVII. Particolare dell’area nella quale è ora presente il Giardino dei Cedrati. (da C. Benocci, 1988) |
Dai vari documenti consultati sono emersi gli interventi eseguiti nella prima metà del '700 sul giardino: 1722 - Gabriele Valvassori interviene a Villa Pamphilj per diversi lavori, tra cui le strutture lignee della pergola, definita anche "cocchio", di Villa Vecchia. 1733 - Giobatta Rolfini rinnova la secentesca "Fontana del Gigante" sul "lato breve del Giardino dei Cedrati". Viene inserita, insieme ad altri elementi decorativi, la statua del Tevere, le cancellate in ferro battuto, il cancello a ridosso dell'acquedotto. Rispetto alla pianta del Falda, che vedeva libero il viale che costeggia l'acquedotto, questo ora viene incluso nel giardino dei Cedrati. Viene duplicata la fontana del Tevere verso l'interno del giardino con una fontana di Venere. In questo anno viene realizzata la costruzione dei "cocchi", come appaiono sulla pianta del Bettini del 1803 (Fig. 21), eseguiti dal falegname Carlo Montefiori. Il cocchio centrale collegava la fontana di Venere con quella di mezzo e con quella della Palomba, fiancheggiato da vasi di agrumi; così rimane almeno fino al 1845, come riporta il Marocco nella sua dettagliata descrizione. 1736-38 - intervento di restauro da parte del Valvassori, (capo di una equipe formata da: Giacometto Antonio Ferrari, capo-scalpellino; Marcantonio Jacobelli, stagnaro; Domenico d'Oratio, ferraro; Rolfini, muratore; Montefiori, falegname). Vengono restaurati i cocchi, rinnovati i giardini di Villa Vecchia e del Teatro; viene sistemato un cocchio davanti alla fontana di Venere e vengono trasformati i recinti davanti a Villa Vecchia, destinati già alla coltivazione di "merangoli" e "frutti" con l'inserimento dei tre cancelli. Uno, accanto alla fontana del Tevere; il secondo in asse con una fontana posta al centro del giardino e in asse con la fontana della Lumaca o della Regina; il terzo, accanto alla fontana della Palomba. All'inizio dell'800 il Bettini redige una planimetria prospettica di rilievo del giardino caratterizzato dalla presenza del "cocchio": una struttura lignea, realizzata con elementi verticali e capriate a sostegno della copertura e aggraziata da archi in ferro, usata per la protezione degli agrumi contro il freddo. Il cocchio principale, secondo quanto riportato dal Bettini, correva longitudinalmente per tutta la lunghezza dell'area e un altro si sviluppava trasversalmente rispetto al primo, circondando la fontana della Palomba e terminando con un altro braccio ortogonale e in asse alla fontana. (Fig. 21) Lungo l'acquedotto, utilizzando il calore accumulato dalla possente muratura romana, dimorava una spalliera di agrumi e ai lati del cocchio principale erano posti due filari simmetrici di piante in vaso, sollevate da terra.
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Fig. 21 - Planimetria di rilievo di F. Bettini del 1803 del Giardino dei Cedrati. (da C. Benocci, 1988) |
Il Marocco descrive nei dettagli il giardino nel 1845: “Al destro lato dell'enuncia/p.43/to simulacro del Tevere avvi l'ingresso al Giardino de Cedrati, di forma rettangolare. Dietro questo simulacro evvi una fonte. La cui acqua lentamente da una conchiglia va nella soggetta vasca. Il primo viale a destra costeggiante il muro sull'acquedotto paolino è un incantesimo tanto è delizioso e ben disposto. I cigli di un tal viale sono ornati dalla sempreverde Convallaria Japonica. Vedi in copia li cedri africani, Portogalli e limoni della più squisita qualità ed il così detto Pomo di Adamo che è arancio bellissimo ed ottimo a candirsi. Il mezzo del giardino resta diviso per lungo da un cocchio ombrifero di limoni/p. 44/, terminante in un tempietto semicircolare portato da sei pilastrini che formano archetti simmetrici, il quale avrà uno specchio per rifletterne da lungi la visuale, lo che viene eseguito con sollecitudine per il lodevole genio del giovane Principe. Entrasi quindi ad altra parte di giardino a sinistra, dove sta una banche o serra di moltiplicazione ad uso inglese per tutte le piante, al di sopra mira il viottolo fiancheggiato da rododendri arborei e da azalee dell'India. Da questa parte ti si offre all'occhio il cancello che mette alla così detta Pipiniera, oggidì volgarmente appellata dai romani Piantinajo. Egregiamente è disposto que/p. 45/sto locale con belle ajole e sentieri corrispondenti, essendo ammirabile una collezione di magnifiche fragranti rose le più nuove e di recente introdotte. Vi abbondano li gerani, le cinerarie, le camelie parte in terra e parte nei vasi, e le camelie ed azalee dell'India nell'inverno più aspro mantengono il bello di una ridente primavera, surrogando le rose e le dalie estive. Dal lato destro di questo gradito recinto trovi una porta introducente a lungo magazzino in cui serbansi le molte coperture dei cedrati, al quale ambiente sono attigui una comoda stalla ed il fienile. S'alza al fianco di quieto locale il Ficus Elastica, da cui si estrae la gomma. /p. 46/ Alla sinistra parte di un tal fabbricato vedi una vaghissima fonte che getta l'acqua da una conchiglia, ricadendo in una tazza circolare. Merita singolar menzione il "Dejeuner Dansant" offerto in questo giardino dallo splendidissimo Principe alla romana e straniera nobiltà, che in Roma trovatasi nell'anno 1843. Consisteva il medesimo in una grande sala, da analogo telone ricoperta, formando il terreno un perfetto piano con ben commesse tavole, dai bei tappeti vestite, con arazzi all'intorno di squisito lavoro, coi quali era pure adorno il suaccennato cocchio dei limoni, che metteva ingresso alla sala/p. 47/istessa, talchè lo avresti chiamato il giardino delle Esperidi o il più bello di quanti abbian fin qui celebrati li poeti. Il cocchio nell'invernal stagione vedesi internamente guarnito a fianchi da vasi di fiori di tutte le specie. Desso viene alla sua metà intersecato da un quadrato, ove zampillano perenni fontanelle, cadenti in sottoposta marmorea tazza. Di contro ed alla destra parte vi sta un cancello che offre la grata prospettiva della fontana della Lumaca, già sudescritta. Anche questo cocchio in quel giorno di nobili danze vedevasi da molti sedili internamente fiancheggiato, chiuso da magnifiche tende, già coperte le due fonti del qua/p. 48/drato predetto, non udendosi se non un lento mormorio, e sopra di esse erigevasi una piramide dal piede all'apice tutta piena di verdi odorosi fiori. Un tale quadrato ora è contornato da vari gruppi di camelie, di azalee e di gelsomini del capo. Il cocchio è lungo notabilmente…”(3) Successivamente lo stesso Bettini proporrà dei cambiamenti radicali, resi necessari da una esuberante produzione di agrumi e una difficile manutenzione delle strutture lignee dei cocchi: “…una si grande estensione di giardini d'agrumi porta una spesa grande a causa delle coperture che conviene di farsi per l'inverno la qualle spesa sono li cocchi avendo questi doppia fila di storre …”. Come è illustrato in uno dei suoi disegni di progetto (Fig. 22), il Bettini propone l'eliminazione del cocchio centrale longitudinale, la trasformazione di quello trasversale a capannone con la realizzazione di vari ambienti da utilizzare come deposito per la legna e falegnameria ("cappana"), un capannone a ridosso del casale per il ricovero dei vasi durante l'inverno, l'introduzione di una "stuffa di ananasso", che sembra corrispondere alla serra a terra presente ancora oggi nel giardino e la coltivazione lungo le mura paoline di "merangoli del Portogallo".
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Fig. 22 - Planimetria di progetto - F. Bettini 1803. Particolare dell’area nella quale è ora presente il Giardino dei Cedrati. (da C. Benocci, 1988) |
Le serre o "banche" descritte dal Marocco nell'area antistante alle stalle sono adibite alla "moltiplicazione all'uso inglese per tutte le piante". Forse a questo uso erano destinate le serre in parte interrate presenti lungo il muro perimetrale a Sud, dove "al di sopra mira il viottolo fiancheggiato da rododendri arborei e da azalee d'india". Ciò sembrerebbe avvalorare la tesi che il progetto di trasformazione del Bettini sia stato effettivamente realizzato e che quello che rimane visibile oggi ne siano le tracce. Al fine di verificare tale ipotesi, è stata effettuata la sovrapposizione tra la planimetria di rilievo del Bettini (Fig. 21), la planimetria di progetto, sempre del Bettini (Fig. 22), e la nostra planimetria redatta in base ai dati rilevati sull’area. Come messo in evidenza nella figura 24, abbiamo ritrovato gli stessi allineamenti sia sui filari di agrumi che sui tracciati delle serre e delle mura. La grande attualità del pensiero del Bettini si riscontra proprio in questa sua innovativa e originale visione del giardino riguardo le sue potenzialità e possibilità di gestione. Parlando dei parterre del giardino nobile egli si esprime in questo modo: “…si progietta di sopprimere il parterre di arabeschi del giardino nobile per più ragioni, primo perché una talle decorassione è soppressa in tutti li giardini delli paesi del'Europa settentrionalle e li primi furono gl'inglesi, poi anco li francesi, e molte altre passioni, trovando in talle decorassione molto affettassione, cosa oposta alla natura e di un continuo dispendio, infatti questo di Villa Pamphilli contuttociò che non è tenuto con quella polissia che esigge una tale decorassione, nul'ostante costa tutti gl'anni il pulimento di circa 50 scudi…”(4) Nella seconda metà dell'800, dopo la guerra contro i Francesi, che causa parecchi danni a Villa Pamphjli, i lavori principali svolti nel Giardino dei Cedrati riguardano le serre, con l'inserimento di innovativi sistemi costruttivi in ferro (le serre presenti nell'area dietro la Fontana della Palomba si possono far risalire a questo periodo), nuovi impianti di riscaldamento, differenziando le serre tra temperate e calde, ma anche nuove coperture per i Cedrati, commissionate ad Andrea Busiri Vici nel 1870 (con colonne di ferro, con architravi e correnti e copertura con tavolato ad innesto e lamiera zincata). Dalla valutazione di tutti i dati raccolti e con l'intento di perseguire la stessa linea di pensiero del Bettini si è orientato lo studio e si sono formulate le proposte progettuali riportate nel seguente capitolo.
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Fig. 23 - Planimetria di rilievo dello stato di fatto con la sovrapposizione del tracciato della planimetria di rilievo dove si leggono i tre cocchi - F. Bettini del 1803 |
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Fig. 24 - Planimetria di rilievo dello stato di fatto con la sovrapposizione del tracciato della planimetria di progetto con sostanziali modifiche sull'assetto del giardino - F. Bettini del 1803 |
Note (1) Per l’esame dello sviluppo della Villa Pamphilj si rimanda a BENOCCI C., 2005. (2) Varoli Piazza S., 1995 pag. 364. (3) Archivio Doria Pamphilj, scaffale 97, busta 15, int. I (da BENOCCI C., 1988). (4) da BENOCCI C., 1988 pag. 96.
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