Da un lato, occorre definire le coordinate temporali del testo per stabilirne il ruolo e la portata all’interno del panorama storico-culturale nel quale esso nasce e si afferma. Dall’altro, occorre collegare il testo alla biografia dell’autore e, nel caso in cui il testo non costituisca un’esperienza isolata, valutarne il ruolo e la portata intrinseca in relazione al resto della produzione bibliografica.
In questa ottica, dunque, il testo di studio diviene un pretesto, termine che, ovviamente, non sottende velleità provocatorie, ma allude alla necessità di considerare il testo di riferimento come un punto di partenza: uno strumento di ricerca, un dispositivo privilegiato per la costruzione logica di un discorso critico a partire dalle correspondances e dalle associazioni che un simile approccio comporta e auspica al tempo stesso.
L’Architettura della Città è, quindi, il punto di partenza di un percorso critico che, inglobando altri testi rossiani, i suoi disegni e le principali interpretazioni del suo pensiero, tenta un approccio alla teoria di Aldo Rossi che si ponga da un punto di vista differente rispetto alle classiche interpretazioni del suo lavoro.
Tradizionalmente, infatti, la produzione tanto architettonica quanto teorica di Rossi viene divisa in due parti, due grandi momenti che si avvicendano in successione cronologica.
Tra le tante interpretazioni, basta far riferimento ai molti testi che Rafael Moneo (1) dedica a Rossi per poter notare come è opinione diffusa della critica e della storia dell’architettura che vi sia un primo Aldo Rossi (rappresentato appieno da L’Architettura della Città), impegnato nella costruzione logica di un teoria scientifica e oggettiva che mira ad una rifondazione razionale della disciplina; e un secondo Aldo Rossi (quello di Autobiografia Scientifica) in cui la necessità di una teoria diviene in sostanza definizione di una poetica, in cui alla memoria storica collettiva, civile e oggettivabile si sovrappone la memoria individuale, la necessità dell’autodescrizione, l’inevitabilità della componente soggettiva.
Questa distinzione in fasi successive ha un sicuro valore se consideriamo la produzione architettonica di Rossi, divisa tra un primo momento di ricerca basato sullo studio del rapporto tra il manufatto architettonico e la città e un secondo periodo in cui, come Moneo nota acutamente, Rossi si tramuta in un grande disegnatore di forme autoreferenziali, di grandi oggetti della memoria che nel rapporto con la città perdono parte del loro valore intrinseco. Ma questa stessa distinzione, se applicata al Rossi teorico, diviene una semplificazione dei termini del discorso che, evidentemente, non tiene conto della coesistenza nel pensiero dell’architetto milanese di due anime, due tensioni opposte e contrastanti che non si avvicendano, ma convivono da sempre su piani differenti.
L’obiettivo del testo è quindi una rilettura del pensiero sulla Città di Aldo Rossi che tenga conto di questa duplice tensione e della soluzione di essa nella logica tragica del conflitto.
L'Architettura della Città / Autobiografia scientifica
L’Architettura della Città viene pubblicato nel 1966, stesso anno di Complexity and Contradiction in Architecture di Robert Venturi negli Stati Uniti e de Il Territorio dell’Architettura di Vittorio Gregotti in Italia. Senza volersi soffermare sulle differenze e complementarietà di questi tre testi, va tuttavia sottolineato che non è un caso che negli stessi anni un’intera generazione di architetti (anche in ambiti culturali e geografici molto differenti o distanti) si interroghi sulla necessità di definire nuove coordinate teoriche che possano guidare e orientare la dimensione del fare e dell’agire architettonico.
Questo processo rientra all’interno di una vera e propria revisione critica della disciplina in seguito all’impoverimento del Movimento Moderno che, nella forma globalizzata dell’International Style, già dal secondo dopoguerra manifesta la sua insufficienza a delineare con chiarezza quale debba essere il futuro dell’architettura.
Partendo dalla critica del funzionalismo ingenuo e contro la semplificazione e l’astrazione della realtà proposta dal concetto di metodo del Moderno, ne L’Architettura della Città, Aldo Rossi pone le basi per una rifondazione oggettiva e scientifica della disciplina in cui la razionalità non è più autoreferenziale, ma è ricondotta all’interno delle sue coordinate storiche. L’architettura, dunque, viene vista come un fatto permanente, universale e necessario che deve conoscere e riconquistare il territorio indiscusso della propria speculazione teorica e della propria pratica operativa: la città. E l’obiettivo primario di Rossi è proprio definire la struttura intrinseca della città perchè è solo partendo da una conoscenza e da un’analisi esatta della dimensione urbana che l’architettura può ristabilire i termini del proprio contributo operativo. La città, così come viene analizzata e rilevata dall’autore (attraverso una elaborazione che deve molto agli apporti e alle interpretazioni specifiche della geografia urbana e ai principi dello strutturalismo), si compone “per parti” autonome e riconoscibili dalla cui dialettica derivano le declinazioni peculiari di ogni realtà specifica: il tessuto ripetitivo della residenza e l’individualità dei monumenti.
A questo punto, però, occorre fare alcune precisazioni: innanzitutto bisogna considerare che la produzione bibliografica rossiana non si esaurisce in questo libro e che, quindi, è necessario stabilire delle relazioni con gli altri testi dell’autore.
L’Architettura della Città è, infatti, un saggio che raccoglie e sistematizza una serie di studi, di analisi e di considerazioni maturate e approfondite dall’autore nel periodo della sua formazione nell’ambito della scuola milanese: scritti e articoli pubblicati prevalentemente sulla rivista Casabella Continuità di Ernesto Nathan Rogers di cui Rossi è redattore per più di dieci anni. Dunque, molti di questi scritti (incubatori del progetto teorico rossiano) vengono rielaborati in forma sintetica e compiuta attraverso un processo di riduzione e semplificazione icastica che conferisce a L’Architettura della Città il tono e il carattere di un vero e proprio trattato. Nonostante questo aspetto, è però interessante rilevare come in questo libro Aldo Rossi, impegnato prevalentemente nella costruzione logica di una teoria a priori, non proponga alcun modello paradigmatico di città.
Il primo modello di città proposto da Rossi è quello della Città Analoga che, però, verrà presentato compiutamente solo dopo alcuni anni, sebbene venga elaborato continuativamente per tutto l’arco della vita dell’autore.
Ma un confronto che non può mancare è quello con l’altro grande testo del pensiero rossiano: Autobiografia Scientifica.
I due testi sono separati da un arco di tempo di circa 20 anni ed è noto come al secondo non corrisponda la stessa fortuna critica del primo. Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti per volere di Philip Johnson, Autobiografia Scientifica vede la luce nel panorama editoriale italiano soltanto nel 1991, lo stesso anno in cui ad Aldo Rossi (e per la prima volta ad un architetto italiano) viene conferito il Pritzker Prize.
Il Rossi di Autobiografia Scientifica è un Rossi estremamente diverso dallo studioso rigoroso e distaccato del primo periodo.
La partecipazione e il coinvolgimento diretto dell’autore sono già di per sé fattori indicativi di una convinzione ben precisa: la teoria si costruisce partendo dal confronto con una realtà specifica e complessa. Questa realtà non è una dimensione fisica e oggettiva ma è il mondo interiore del soggetto che deve ricercare, riscoprire, ritrovare nella propria memoria quelle “immagini primitive” senza le quali l’uomo (l’uomo Aldo Rossi) non avrebbe mai costruito. La teoria, dunque, non come semplice postulato universale e oggettivabile, ma come modo di vedere e interpretare il mondo (dal greco theorèin “vedere”); la teoria come presupposto necessario e fondamentale per comprendere e descrivere i processi dell’invenzione alla luce dell’esperienza del progetto e delle contaminazioni tra soggetto e realtà.
Ci troviamo, quindi, di fronte alle dinamiche di un pensiero duale che si potrebbe riassumere attraverso una sequenza di termini che delineano e conformano una vera e propria dialettica degli opposti: particolare - universale, individuale - collettivo, oggettivo - soggettivo, permanente - mutevole, razionalità - invenzione.
Ritenere che i singoli termini di ciascun binomio si succedano cronologicamente attraverso un processo evolutivo di sostituzione e trasformazione del pensiero potrebbe, tuttavia, risultare una semplificazione.
Pertanto le successive parti di questo testo tenteranno un viaggio all’interno della produzione rossiana tra L’Architettura della Città e Autobiografia Scientifica che rilegga la sua opera e il suo pensiero attraverso la lente interpretativa dell’accostamento e dell’addizione.
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