Corpo e architettura. Aldo Rossi e Bernard Tschumi
Michele Costanzo
Testo base dell'intervento al convegno "I luoghi della performance", organizzato da InCorpoArti, tenutosi il 28 aprile 2007 presso il Teatro Aldo Rossi - Borgoricco (PD)
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Aldo Rossi e Bernard Tschumi, sono due figure di intellettuali e progettisti, com'è noto, molto diverse tra loro, si potrebbe aggiungere: appartenenti a due mondi del tutto distanti. Tuttavia, nonostante la profonda divergenza della loro ricerca è riscontrabile un tratto comune, una sottile, tenue congiunzione, utile comunque ad istituire un possibile confronto. Tale sorta di impercettibile tramite è costituito dalla nozione di "presenza": una presenza fisica, corporea, che viene posta da entrambi in rapporto a quella assai più pesante, statica, densamente materica dell'architettura.
Nel caso di Rossi il concetto di "presenza" è riferito ad una singolarità (o ad una somma di singolarità di individui) e questo porta ad elaborare (in questo rapporto) una valenza di tipo intimistico. Non a caso il tema del corpo nei rispetti dell'architettura prende forma dall'osservazione delle cabine da spiaggia, Le cabine d'Elba (1973), un luogo all'interno del quale il corpo si spoglia.
La riflessione rossiana sul tema del denudamento prosegue, poi, in diverso senso, fino a raggiungere un altro luogo del discingimento, del disvelamento del sé più profondo, ossia dell'anima, rappresentato dalla cabina del confessionale.
Dopo questa prima osservazione che ritroviamo nella sua Autobiografia scientifica, il rapporto corpo-architettura prende due distinti indirizzi, ponendosi come dato dimensionale, che è quello da cui siamo partiti, e come luogo per un evento accidentale.
Nel primo caso egli prende in considerazione delle coppie dalla duplice e opposta entità scalare quali, minimo e massimo. Infatti, per controllare la dimensione massima, bisogna partire dalla dimensione minima del vivere, che racchiude in sé il nucleo fondamentale dei valori e la base della crescita dell'insieme quale, ad esempio, il villaggio.
Tale idea avrà un suo sviluppo, immediatamente dopo il suo saggio L'architettura della città (1966), con la serie di disegni denominati Impresions d'Afrique, «Le capanne-cabine erano quindi innumerevoli», scrive Rossi, «e questo mi ha fatto intravedere un tipo di città e di edificio [...] circondato da innumerevoli capanne» (1). A cui fa seguito, come diretto approdo progettuale, la Casa dello Studente di Chieti (1976).
Ritornando a Le cabine d'Elba, oltre al dato dimensionale esse presentano anche qualcosa del secondo aspetto del rapporto tra corpo e architettura, rappresentato dalla accidentalità dell'evento.
La visione delle cabine con le quattro pareti dipinte a fasce colorate, che si concludono con il timpano e la bandiera al vertice «[...] ci rende coscienti», egli osserva, «che all'interno vi deve essere una vicenda e che in qualche modo alla vicenda seguirà lo spettacolo. Come quindi separare la cabina da un altro suo senso: il teatro?» (2).
Architettura e teatro, secondo Rossi, sono legati da un comune sviluppo narrativo che ha «[...] il suo inizio, il suo svolgimento, la sua conclusione. Senza vicenda non vi è teatro e non vi è architettura» (3).
Da questa riflessione nasce il parallelo analogico tra teatro e architettura che, in questo modo, diventa «[...] il fondale possibile, il luogo, la costruzione misurabile e convertibile in misure e materiali concreti di un sentimento spesso inafferrabile» (4).
Lo sviluppo dell'idea d'architettura come "scena fissa della vicenda dell'uomo" porterà al progetto per il Teatrino scientifico (1978).
L'architettura come scena conduce ad una sorta di sua fissità, ed anche di attesa di cose che stanno per compiersi, come pure di infinite vicende da narrare.
L'oggetto architettonico, dunque, porta allo svolgimento di un evento che deve essere vissuto, ma si presenta anche come possibilità di suo compimento o memoria di altro.
Tale concetto di memoria, come è noto, assumerà sempre più in Rossi una posizione centrale nel suo fare progettuale, fino a raggiungere la dimensione di "accumulo di ricordi".
Seguono i progetti di alcuni teatri: il Teatro del Mondo, Venezia (1979); il Teatro-Faro, Toronto (1988); il Teatro Carlo Felice, Genova (1983).
Nel caso di Tschumi, la "presenza" non è mai un'entità singolare, ossia riferibile ad un solo individuo, ma plurima, collettiva, in quanto portatrice d'eventi che debbono integrarsi con lo spazio architettonico per formare un unico, serrato insieme. E tale presenza molteplice, com'egli afferma, è proprio ciò che dà valore, e senso all'architettura. Non c'è, dunque, architettura senza evento, senza azione, senza attività. In questo modo l'architettura risulta essere una combinazione priva di gerarchie, tra spazi, movimenti, eventi.
L'esperienza individuale/collettiva si configura, allora, come un insieme di azioni organizzate in modo libero, ma rese strategiche dall'architettura. L'apparente disordine deve essere letto, secondo Tschumi, come un genere di aggregazione che si sviluppa secondo un diverso concetto di struttura.
La ricerca dell'architetto inizia negli anni Settanta ed avrà due fasi distinte: una prima di tipo esclusivamente teorico, coincidente con il periodo insegna a Londra e poi a New York, e una seconda progettuale (pur continuando ad insegnare e a fare ricerca) che proseguirà fino al presente.
La fase teorica punta ad individuare un più idoneo criterio per determinare alcuni specifici caratteri del processo creativo, impiegando differenti mezzi per registrare i possibili eventi nell'ambito di uno spazio configurato. Il tentativo è quello di riportare il dinamismo del movimento all'interno del processo configurativo dell'immagine architettonica.
In questo modo egli introduce il "frammento", nell'accezione freudiana di aspetto parziale, ma significativo della molteplicità di un processo.
Parte, così, da un'organizzazione di frammenti, porzioni di immagini tutte legate tra loro da un'idea di movimento.
In una prima fase si rivolge alla tecnica del montaggio cinematografico, in quanto individua in esso una forte analogia con la sua idea, che andava elaborando, di "montaggio architettonico". E' il caso del collage tratto da Sciopero di Sergej M. Ejzenstejn, in cui per portare in primo piano il tema dell'evento (in senso sia contenutistico, che emozionale), come afferma il regista russo, "[...] non c'è gerarchia né relazioni motivate fra i diversi elementi all'interno dell'inquadratura" (5).
Alcuni anni più tardi, quando si sarà stabilito a New York, lo sviluppo di tale ricerca darà origine alla serie di tavole intitolate Screenplays, raccolte poi nel volume The Manhattan Transcripts: una sequenza di foto di eventi, diagrammi di movimento e planimetrie che fanno riferimento, in maniera più o meno diretta, al cinema.
Un secondo contributo da considerare nella costruzione dell'impalcatura concettuale di Tschumi, che avrà un'influenza piuttosto determinante nella definizione delle tematiche di evento e movimento - come afferma lo stesso Tschumi - è quello derivato dalle idee situazioniste e da quelle provenienti dal movimento studentesco del Sessantotto. "Les évenéments, come allora si chiamavano non erano soltanto eventi rispetto all'azione, ma anche rispetto al pensiero" (6).
Ciò che intendeva promuovere il movimento dell'IS (Internationale Situationniste) era un uso più libero dell'ambiente urbano; e quest'idea era portata avanti mediante la creazione di eventi collettivi. L'intento era quello di scompaginare l'ordine spaziale su cui si riflette la società, per dare un senso radicalmente nuovo all'espressione culturale.
Si tratta, dunque di "progettare le condizioni piuttosto che condizionare il progetto". In questo modo l'architettura diventa essa stessa un "generatore d'eventi". E questo, vuol dire indirizzare i flussi d'energia prodotti dal movimento dei corpi rendendo lo spazio "luogo degli eventi" da cui trae forza per un processo continuo di movimento e rinnovamento.
In questo modo ciascun progetto si pone come una "piccola città" e la sua organizzazione assume un valore cruciale.
La fase progettuale/realizzativa ha inizio nel 1982 con la vittoria del concorso per il Parc de La Villette (1982-98), in tale occasione l'architetto inizia a dare forma in termini concreti alla sua ricerca teorica. Il sistema è basato su tre livelli sovrapposti definiti: punti, linee e superficie. Un suo sviluppo in senso spettacolare ed effimero sarà Fireworks.
Altri progetti da considerare: Le Fresnoy, Tourcing (1991-97), Lerner Hall Student Center, Columbia University, New York (1994-99), Museum for African Art, New York (2006-), Concert Hall and Exhibition Center, Rouen (1998-01), Concert Hall, Limoges (2003-07).
Note
(1) Aldo Rossi, Autobiografia scientifica, Pratiche, Parma 1990, p. 48.
(2) Ibidem, p. 50.
(3) Ibidem, p. 58.
(4) Ibidem, p. 36.
(5) Cit. in: Aldo Grasso, Sergej M. Ejzenstejn, La Nuova Italia, Firenze 1981, p. 65.
(6) Bernard Tschumi, Six Concepts, in: Id, Architecture and Disjunction, The MIT Press, Cambridge, Mass. 1996, pp. 255-256.
Autore |
Data pubblicazione |
Volume pubblicazione |
COSTANZO Michele
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2007-11-07 |
n. 2 Novembre 2007
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